JUMPER’S KNEE:

Conoscere per evitare il peggio

Il ruolo primario dei tendini è quello di trasmettere le forze contrattili dai muscoli alle ossa creando così il movimento. Tuttavia, avendo i tendini buona abilità di resistere a forze tensili e di allungamento, ma minore capacità di resistenza a forze di taglio e forze compressive, sono numerosi i fattori (intrinseci ed estrinseci) che possono predisporre a microscopici danni a livello delle fibre collagene così da rendere il tendine più suscettibile ad un danno che si renda evidente anche clinicamente (sia a carico del tendine stesso, che a carico del tessuto osseo su cui si inserisce).

LA TENDINOPATIA ROTULEA:

Durante la deambulazione il tendine rotuleo è sottoposto a un carico di 0,5 kN, che diventa di 8 kN durante la fase di atterraggio di un salto, 9 kN durante la corsa e 3,2 kN durante lo squat jumping. Se pensiamo che i giocatori di basket saltano verticalmente, in media, 70 volte per partita e per ogni salto viene esercitata una forza pari a 6 volte il peso corporeo, appare evidente che gli stress subiti dal tendine rotuleo sono tutt’altro che trascurabili (il 65-70% delle tendinopatie rotulee procurano dolore al polo inferiore della rotula ed è proprio per tale sede che si parla di “jumper’s knee”, o “ginocchio del saltatore”, colpendo tipicamente gli sportivi che richiedono un overstress del meccanismo estensorio del ginocchio).

La tendinopatia rotulea è uno dei maggiori problemi che riguardano sia l’atleta professionista che lo sportivo amatoriale. Il segno clinico caratteristico è il dolore del tendine sottoposto ad overuse, localizzato spesso al polo inferiore della rotula (facendo riferimento alla sede più frequente) ed il decorso della sintomatologia dolorosa è stato ben classificato da Blanzina nel 1973:

Fase 1: Dolore solo dopo l’attività sportiva, senza apparente limitazione funzionale

Fase2: Dolore durante e dopo l’attività sportiva, con un grado di efficienza prestativa ancora sufficiente

Fase 3: Dolore durante e dopo l’attività sportiva, ma prolungato e difficoltà a mantenere un elevato livello prestativo.

Alcuni Autori suggeriscono che il termine tendinite o tendinosi possa essere adottato solo dopo un esame istopatologico; il suffisso “-ite” implica una condizione infiammatoria, mentre la patologia cronica tendinea è priva di cellule infiammatorie; Pertanto possiamo trarre già alcune conclusioni riguardo il trattamento farmacologico della tendinopatia rotulea: nelle fasi acute di utilizzo di FANS, ma soltanto per il controllo del dolore, mentre nel trattamento farmacologico a lungo termine non c’è evidenza scientifica d’efficacia, probabilmente proprio perché condizioni infiammatorie non sono presenti.

È corretto oggi il termine “tendinosi da overuse” in quanto si riferisce al quadro istopatologico di degenerazione del collagene, incremento della sostanza di base e neo-vascolarizzazione in assenza di cellule infiammatorie.

Tre fasi cellulo-mediate caratterizzano la guarigione di un tendine: la fase infiammatoria; la fase della sintesi di collagene o fase riparativa; la fase di rimodellamento biologico. Quest’ultima è coinvolta nella risposta fisiologica all’allenamento in cui si determina un aumento della massa e della sezione del tendine. Al lato pratico il tendine è come se subisse un continuo rimodellamento indotto dal sovraccarico. I Tenociti (la struttura cellulare più importante del tendine, che ha l’importante funzione di produrre matrice extracellulare, a sua volta costituita da fibre di collagene che rappresentano la parte indispensabile per il corretto funzionamento del tendine) producono collagene con un turnover di 50-100 giorni, pertanto, se ad un tendine viene dato un inadeguato tempo per riparare i tenociti, questi possono morire a causa dell’eccessiva tensione. La sintesi di collagene viene poi ridotta, rendendo il tessuto più vulnerabile a futuri danni. Di fatto, il processo istopatologico alla base della manifestazione clinica della tendinopatia può essere visto come un fallimento di adattamento della matrice cellulare alla varietà di stress, fino ad uno squilibrio tra degenerazione della matrice e sintesi (Teoria della Failed Healing Response) .

FATTORI DI RISCHIO: Ciò su cui POSSIAMO (e quindi DOBBIAMO) intervenire, in modo preventivo.

Volume di allenamento e frequenza, possono spiegare perché atleti professionisti sono potenzialmente più suscettibili a sviluppare la patologia rispetto ad atleti amatoriali, pertanto la corretta gestione dei carichi di lavoro (Programmazione, periodizzazione) e la valutazione costante delle condizioni di training/overtraining dell’atleta (o dello sportivo), sono aspetti da cui non si dovrebbe mai prescindere.

Se tra i fattori intrinseci ci sono anche sesso ed età (sui quali non possiamo intervenire), numerosi studi scientifici hanno annoverato tra questi anche: eccessiva pronazione, piede cavo, piede piatto, scarsa dorsi-flessione dell’articolazione tibio-tarsica, ginocchio valgo, angolo Q, posizione della rotula e sua mobilità, scarsa flessibilità, coxa vara, rotazione tibiale o femorale.

Tutto ciò rientra in un elenco di condizioni sulle quali, se rilevate da un’attenta e periodica valutazione funzionale del soggetto da parte di un terapista, è possibile intervenire con protocolli specifici di lavoro che porteranno, se non alla risoluzione completa degli squilibri, quantomeno alla sua drastica riduzione, con conseguente calo di incidenza della sintomatologia.

La scarsa flessibilità inoltre, di quadricipite, hamstring, bendelletta ileo-tibiale e polpaccio può ridurre il ROM a livello di ginocchio e caviglia e può essere così responsabile dell’incremento di carico sul tendine rotuleo (Writvrouw et al. 2001, e studi precedenti).

Altro dato importante dunque è valutare in questi distretti muscolari (spesso iper-trofici/iper-tonici nel caso di atleti) se il ROM (Range Of Motion) risulta ridotto o meno ed intervenire quindi con appropriate e frequenti sedute di allungamento muscolare specifico. Questo, a livello sportivo, non dovrebbe essere visto come del “tempo speso male” o del “lavoro superfluo” in quanto in stretta correlazione con le capacità prestative del soggetto (numerosi dati scientifici facilmente reperibili dimostrano ad esempio la diretta correlazione tra decremento del salto verticale ed anormalità del tendine rotuleo all’esame ecografico). In sintesi quindi, miglioramenti della funzione muscolo-tendinea e della catena cinetica funzionale, dovranno essere presi in considerazione durante lo sviluppo del programma riabilitativo e/o preventivo.

IMMOBILIZZAZIONE vs EFFETTI DELLA MOBILIZZAZIONE E DEL CARICO MECCANICO:

· L’esercizio fisico aumenta la sintesi di collagene e la sezione trasversale del tendine, determinando così un allargamento del diametro tendineo;

· Una ricerca fatta da Kjaer et al., mostra che esercizi di carico, avviano ad un’iniziale buona risposta di guarigione del tendine malato;

· Il tessuto tendineo umano risponde al carico meccanico sia con una maggiore attività metabolica e circolatoria, sia con un incremento di sintesi di matrice extra-cellulare.

Il riposo dunque, come terapia per le tendinopatie da sovraccarico, da un lato favorisce l’attenuazione del sintomo del dolore, dall’altro ha un effetto negativo sull’unità muscolo-tendine-osso. La prolungata immobilizzazione in seguito ad un infortunio muscolo-scheletrico, può avere effetti dannosi, in quanto determina un’atrofia tendinea, riassorbimento osseo e diminuzione delle proprietà di forza e resistenza ai carichi del tendine (questi cambiamenti si verificano lentamente come risultato di un basso livello metabolico e vascolare). “Anche solo 15 minuti di sollecitazioni meccaniche cicliche biassiali applicate a tenociti umani portano alla proliferazione cellulare”.

Dopo la fase infiammatoria della guarigione tendinea, lo stretching controllato è in grado di incrementare la sintesi di collagene e migliorare l’allineamento delle fibre, determinando così una maggiore forza tensile. Il collagene che durante la fase di proliferazione e di rimodellamento non viene invece stressato, rimane con un’organizzazione casuale ed è più debole del collagene stressato.

ALLENAMENTO ECCENTRICO

L’esercizio eccentrico viene regolarmente usato come trattamento di prima scelta per la tendinopatia cronica e sembra che l’allenamento eccentrico abbia effetti differenti sul metabolismo del tendine affetto rispetto ad uno sano. Ha inoltre mostrato di avere effetti positivi sia sulla struttura tendinea (rimodellamento matrice extracellulare, riduzione fibre cicatriziali) che sul dolore (riducendo la neo-vascolarizzazione).

Per approfondire leggi l’articolo specifico sulla contrazione eccentrica!

SINDROME FEMORO-ROTULEA

Nei soggetti giovani, unica accortezza da parte dell’ortopedico, è la diagnosi differenziale con la sindrome femoro-rotulea, che tuttavia può coesistere.

La sindrome femoro-rotulea dolorosa (PFPS, Patellofemoral Pain Syndrome) è una delle patologie del ginocchio più frequentemente diagnosticate in medicina generale, in medicina ortopedica e dello sport (colpisce 11-17% dei pazienti che si presentano in medicina generale e circa il 25% degli sportivi amatoriali a cui viene diagnosticata smette di giocare a causa del dolore al ginocchio).

Il dolore viene ipotizzato essere generato all’inserzione dei muscoli estensori, dai retinacoli, dal corpo adiposo di Hoffa e dall’osso subcondrale (inoltre meccanismi centrali come la diminuzione della soglia del dolore e meccanismi sensoriali alterati possono avere un ruolo nella genesi del dolore).

Per quando concerne le cause, analogamente alla tendinosi da overuse, ritroviamo uno scorrimento rotuleo non corretto con aumento della traslazione laterale della rotula (Maltracking) e valore dell’angolo Q (misura statica del vettore di forza del quadricipite formato dalla linea passante tra la spina iliaca antero-superiore e il punto medio centrale della rotula e la linea passante tra il punto medio rotuleo a il tubercolo tibiale. Il valore normale dell’angolo Q è 3.5 ± 4.5° - in soggetti sani tra i 18 e i 35 anni). Un aumento di quest’angolo potrebbe portare a delle forze laterali agenti sulla rotula.

Interviene in rapporto causa-effetto anche il cosiddetto “Valgo dinamico”, ossia la condizione di maltracking patellare senza aumento dell’angolo Q. A livello muscolare poi, nei soggetti con dolore femoro-rotuleo si nota un aumento dell’adduzione dell’anca e dell’abduzione del ginocchio (lateralizzazione della rotula); questa rotazione interna del femore e/o della tibia ha alta prevalenza nelle giovani atlete, fattore causato da debolezza dei muscoli dell’anca (piccolo e medio gluteo, fattore che tiene in secondo piano uno squilibrio tra vasto mediale e laterale) e fattori come l’eversione del retro-piede o piede pronato.

Concorrono poi fattori psicologici (come il pensiero catastrofico e la paura al movimento, che possono modificare la gravità del dolore femoro-rotuleo), la teoria del sovraccarico (l’eccessiva sollecitazione sull’articolazione del ginocchio, tipicamente dovuta all’aumento del volume d’allenamento, porta a una omeostasi tissutale alterata), ed altri fattori (rigidità degli hamstring e del tratto ileo-tibiale, angolo sacrale diminuito) già presi in analisi nel trattamento della tendinosi (Jumper’s knee).

Anche in questo caso (che ricordiamo può presentarsi unitamente alla tendinosi da overuse), risulta evidente come un corretto approccio preventivo che presume protocolli di intervento muscolare sul rinforzo dei muscoli dell’anca (rotatori esterni), del tronco (muscoli stabilizzatori del bacino), dell’arto inferiore (anche se l’evidenza è molto inferiore rispetto alla necessità del rinforzo dei muscoli dell’anca, risulta molto più importante rieducare il patterns muscolare corretto poiché spesso si assiste a un ritardo di attivazione del vasto mediale rispetto al vasto laterale, utile quindi allenamento con biofeedback), e di stretching del quadricipite, della bendelletta ileo-tibiale, degli hamstring, dei flessori dell’anca, possono di fatto garantire una riduzione del rischio di raggiungere condizioni gravi che possano indurre ad un calo prestativo o addirittura, nel peggiore dei casi, ad uno stop dell’attività sportiva con tutto ciò che ne consegue per atleti di livello o anche semplici amatori che notoriamente mal-tollerano lunghi periodi di inattività.

“Dulcis in fundo”… il MORBO DI OSGOOD-SHLATTER:

Con il termine “morbo di Osgood-shlatter” viene indicata l’osteocondrosi della tuberosità tibiale anteriore, che si manifesta con l’insorgenza di dolore locale e tumefazione, dando spesso una limitazione antalgica dell’estensione del ginocchio contro resistenza. Il decorso è generalmente lungo (anni), in quanto fortemente legato al termine della maturazione ossea da parte del giovane soggetto, ed in casi eccezionalmente gravi può complicarsi con un distacco della tuberosità.

Tale evento è provocato dalla diminuita resistenza del nucleo apofisario alla trazione esercitata dal tendine rotuleo (in questo caso è necessario ricorrere alla sua re-inserzione chirurgica): a differenza dei casi precedenti quindi non è il tendine a subire il trauma maggiore ma l’inserzione di questo sul tessuto osseo, che, nel caso di soggetti giovani in fase ancora di sviluppo, risulta molto più “morbido” e facilmente “attaccabile” dalla trazione esercitata dai muscoli, spesso ipertrofici/iper-tonici anche in tenera età, nel caso di giovani atleti.

Anche in questo caso, per quanto non sia possibile ridurne a zero il rischio, risulta chiaro come una gestione preventiva atta al mantenimento del miglior stato di salute muscolo tendineo del soggetto può sicuramente determinare l’insorgenza o meno della patologia o quantomeno la sua comparizione e mantenimento ad uno stadio iniziale, non acuto, che dia modo all’atleta stesso di poter continuare l’attività (correttamente gestita) senza doverla interrompere (in questo caso, la magnetoterapia e la Tecarterapia in modalità resistiva, in associazione alla temporanea limitazione dell’attività fisica e l’impiego di ausili per lo scarico durante la deambulazione e/o tutori per l’immobilizzazione del ginocchio, ha dimostrato una buona efficacia terapeutica in numerosi casi).

CONCLUSIONI

Mentre l’effetto di un corretto trattamento in fase riabilitativa potrebbe dare al paziente (dati alla mano) dal 50% al 70% di miglioramento nella funzionalità atletica e nella riduzione del dolore, a scopo preventivo invece, è consigliabile, nella gestione di atleti e non, seguire alcune linee guida che potrebbe ridurre notevolmente l’incidenza delle patologie sopra-descritte:

1. Monitorare volume di allenamento e frequenza (stato di “well-training” - “over-training” dell’atleta, fasi di carico, di recupero, di riposo);

2. Attenta e periodica valutazione funzionale del soggetto (eccessiva pronazione, piede cavo, piede piatto, dorsi-flessione dell’articolazione tibio-tarsica, ginocchio valgo, angolo Q, posizione della rotula e sua mobilità, flessibilità, coxa vara, rotazione tibiale o femorale);

3. Protocolli per mantenere la corretta flessibilità muscolo-tendinea (stretching) e della catena cinetica funzionale (quadricipite, hamstring, flessori dell’anca, bendelletta ileo-tibiale e polpaccio): lo stretching controllato è in grado di incrementare la sintesi di collagene e migliorare l’allineamento delle fibre, determinando così una maggiore forza tensile;

4. Protocolli di intervento sul rinforzo muscolare dell’anca (rotatori esterni), del tronco (muscoli stabilizzatori del bacino), dell’arto inferiore;

5. Mobilizzazione e carico meccanico:

a. l’esercizio fisico aumenta la sintesi di collagene e la sezione trasversale del tendine, determinando così un allargamento del diametro tendineo

b. esercizi di carico avviano ad un’iniziale buona risposta di guarigione del tendine malato

c. il tessuto tendineo umano risponde al carico meccanico sia con una maggiore attività metabolica e circolatoria, sia con un incremento di sintesi di matrice extra-cellulare.

6. Evitare la prolungata immobilizzazione in seguito ad un infortunio muscolo-scheletrico (può avere effetti dannosi, in quanto determina un’atrofia tendinea, riassorbimento osseo e diminuzione delle proprietà di forza e resistenza ai carichi del tendine);

7. Prevedere l’inserimento, con cadenza costante, di esercizio eccentrico (effetti positivi sia sulla struttura tendinea, per via del rimodellamento della matrice extracellulare, sia sulla riduzione delle fibre cicatriziali, nonché sul dolore, riducendo la neo-vascolarizzazione);

8. Mantenere un costante rapporto diretto con l’atleta cosi da poter “avere il polso” del suo “dolore percepito” e poterlo aiutare a valutarne la corretta entità (sia nel caso di sovra-stima che del contrario..)

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2018 – Luca Barni: “La sindrome femoro-rotulea”, Patellofemoral pain syndrome: Review delle cause e trattamento associato